La prima traduzione italiana: I Seni di Béart, XIX: Faubourg Saint-Denis. Von Bruno “Parallalie” Lepre

 

 

O principessa velata, nera dietro il nastro della via lattea
della miseria asfaltata, squarciata, che
figlia di beduini, tu attraversasti sommessamente da
donna capotribù, Béart
Il tuo volto, Ninsunna,
era diniego orgoglioso, dallo splendore lucente
dell’onice nero portato a mo’ di gioiello:
negativo galattico lo splendore della tua pelle
entro la quale si precipita la luce col tutto
dietro di noi nella rete a strascico degli sguardi
che tu da noi peschi

custodendoci come perle dentro astucci
che addobbano a centinaia la tua tenda
nella quale, quando da sola ti abbandoni
ai sogni, la tua abitazione | si trasforma -:

Cucina, due stanze, bagnetto piccolo
il water continuamente intasato
condivisa con cognato e sorelle, sei bambini
marito credente, ala retrostante rue Perdonnet
New Kamalam Silk fra i tronchi dei
binari per gare de l’Est, gare du Nord
il tuo oud che sale dalla coppetta
seguendoti qual scia e tu già bell’e passata
nera, o  nera nella snella nerezza
adamantina del chador,
snella e alta come è il desio
che incede, ma piede non mettendo
davanti piede, Béart, ma scivolando (passa),
Fata Morgana cipressiforme,
pari al vento che intuiamo, visto che
Faubourg s’acquatta nel calore
abbassando il viso davanti a ogni creatura
giacché il tuo sguardo, colpendoci
c’avvamperebbe –

impossedibile, tu, che suo marito menerebbe
se sapesse come noi ti seguiamo
noi, persi verso i deserti, Béart,
del tuo supremo decimo
ex oriente arrondissement –

Al pari degli acini bianchi di neri vitigni
con te ancora vi sono settantun huriyat
ad animare l’ultima cresta,
scuri sopra necropoli
nelle quali s’ergono uomini
la cui brama argentea viva rimase in me
qual segno celeste supremo
sotto i piedi d’Iside vestita di sole:
terzo occhio dell’hilal | su tua fronte sì linda
e sopra di me, principessa velata
da un congedo del canto della terra
all’altro, ora la barca sospesa sale
qual luna su per l’azzurro lago celeste,
mentre sotto le tavole la schiuma
delle onde si sparge, polvere di stelle,
nei gas di scarico di macchine in coda
tra clacson nei grassi odori, regina caeli,
di modeste tavole calde libiche
e nei fischi atoni degli uomini che
non osano più, guardando a malapena
e più nessun coltello estratto
per far colpo su una femmina berbera

(da tanto anch’io, tanto democratico
guai a chi non racchiude deserti!
– che sia la femmina a chiamare
lo stallone ad essere morsa e montata
tanto
è giorno tuttora, notte non ancora:

vigilesse in pattuglia scribacchiano
neri che spazzano, vestiti di verde,
tratti di strada in discesa, spalando
dalle canalette lungo i marciapiedi
la sporcizia della ribellione sui
pianali rassegnati di apette a quattro ruote
che procedono a passo d’uomo
mentre la futura madre di Gilgamesh
che, con uno sguardo dalla durata
di un secondo, mi mutò in Re forte

(Lascia che le tue braccia si spieghino come luce del sole!
O tu, che sei pari alle sette tempeste di Ishkur!)

sta sparendo nel caseggiato
che su dodici e più piani
comprime il carbone umano
purché le ville dei bei quartieri
abbiano da rifornire le loro stufe
quando, di novembre, arrivano i disagi
e, giorno dopo giorno, la pioggia
colma le anime rigide poi d’inverno –
ma già ora, quella Dea s’ingrossa
nel dogma vincolante della giusta fede
per gli uomini intoccabili le madri, perché sante
sia che le rende impure il mestruo
sia che le rende pure il bambino
che accudiscono, solo il moltiplicatevi!
intima l’ulteriore penetrazione, purché kosher
nella posizione imam-cattolica imposta quindi
resale indifferente giusto dalla circoncisione
perché libidine non si confà a madri sante
ed era già – o quant’è debole l’hadith! –
mozzato alle figlie da parte delle madri
poiché, di solito, i mariti da soli non bastavano alle donne

Allora tu, Béart, chiedi / soltanto con occhi focosi
sul cui ardore | ci focalizza / il tuo niqab
pur tuttavia tacendo la smussatezza della lama
e che Allah ha reso perfetti anche i fiori del deserto:
che ci guardi dalla pena del fuoco!

(Mutilazione blasfema dei corpi già nell’anima
Non diversamente il discorso immacolato del maligno
già prendendo lo spunto dall’estinzione: ogni chiesa ha
nella sua verità il suo potere, che non ci sia un’altra -)

Quanto scorre dolce, quasi fermo, sul Quai
de Valmy il Canal Saint Martin

Dove sento, con lo sguardo verso il ponticello
sedendomi a consumare croissant e caffè
la tua, Ninsunna, che s’immerge in me, lingua:
mai bambino più bello che da mescolanza razziale
questa, sans filtre, la verità di ogni arte.

 

***


Parallalie
Helmut Schulze, → Tetraglott

ANH, →Die Brüste der Béart

 

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